M'infilo
una vecchia giacca di pelle rossa. Esco. È domenica, l'ora di pranzo. Vado al
take away di cucina greca in via Goito, 'Gli dei hanno fame'.
Dietro il bancone, Alessio rigira le
pite sul grill. La radio diffonde Love to
love you baby di Donna Summer.
«Cosa ti do?».
«Il solito».
Il solito è la moussaka.
When
you're laying so close to me, canta Donna Summer, there's no place I'd rather you be than with me.
«E quella salsa
marroncina a base di ceci», aggiungo.
«Si chiama hummus», dice Alessio.
Sono anni che frequento questo take
away, e a parte la moussaka, i nomi di tutte le altre specialità in menù non
riesco a memorizzarli. Niente da fare, non mi entrano in testa.
Prendo posto su uno degli sgabelli a
ridosso del bancone che è davanti la vetrina. Di solito sono occupati dai
ragazzi che si mangiano le pite farcite. Ma arrivano nel pomeriggio, dopo che
hanno incontrato i loro amici, su via dell'Indipendenza. Io mi ci siedo per
aspettare il pranzo che porto via.
Do it
to me again and you put me in such an awful spin, canta Donna Summer. I love to
love you baby, canta.
Il volantino sul tavolo reclamizza
un viaggio per le vacanze pasquali nel Peloponneso con partecipazione
a un campo di scavi archeologici. Full immersion nell'antichità classica, dice.
Guardo fuori. La vista della strada
è schermata dal fogliame del gelsomino che nel vaso ai bordi del marciapiede,
si arrampica al graticcio. Isola quella porzione di asfalto dai motorini
parcheggiati e dal pub che è sull'altro lato della via.
«Dov'è M.?» dice Alessio.
«Da sua madre».
«Quando torna?».
«Non torna».
«Ché vi siete lasciati?».
«Perché, ti sembra strano?».
I
love to love you baby, canta Donna
Summer.
Sulla porta c'è Remo,
il suo compagno. Indossa un grembiule con sopra serigrafato il David di
Michelangelo.
«Hai rotto con M.?» fa.
«Non sono mica stata io».
Alessio apre lo sportello del forno.
Mentre incarta la moussaka, mi sbircia dubbioso.
«Sembra che non ti dispiaccia»,
dice.
Lay
your head down so close to soothe my mind, canta Donna Summer. Set me free, canta.
Mi mette in mano la borsa di
plastica con la moussaka.
Mi accompagna fino all'ingresso.
Esce sul marciapiede. Controlla la ricrescita del gelsomino. Con cura sistema i
rami ribelli sul graticcio. Esce anche Remo. Gli mette la mano sulla spalla.
I
love to love you baby, canta Donna Summer.
Cleofe
è dietro alla porta, quando apro, così vicina che per poco non gliela sbatto
nel muso.
«Ho fame», dice.
Vado in cucina. Le vuoto nella
ciotola una manciata di croccantini senior plus, la busta già pronta sul
tavolo.
Sul divano, incastrato tra i
cuscini, è rovesciato un libretto di Simone Weil, ‘Manifesto per la
soppressione dei partiti politici’, una mano con l'indice capovolto in
copertina. Lo sta leggendo, la gattaccia.
Sì, io vivo con una gatta che legge.
Parla anche. È una gatta parlante, Cleofe.
Mentre
mi tolgo gli stivali, sento che sgranocchia il suo pasto con appetito. Dopo
qualche minuto mi raggiunge sul divano.
«Simone», dice leccandosi la zampa
destra, «in appena trent'anni di vita getta le basi del riformismo
rivoluzionario. Tu, a quaranta, ti fai piantare dall'unico uomo che hai mai
avuto».
«Mi sfugge il paragone», dico
aprendo il libretto.
«Simone», dice leccandosi la zampa
sinistra, «rinunciò al comodo ruolo d'insegnante per compiere un gesto forte.
Se ne andò a lavorare alla catena di montaggio in fabbrica. Aveva quella che si
dice 'coscienza'. Sulla propria pelle sostenne che solo facendo scelte
individuali coraggiose si può riformare la società. E tu, invece?».
«Smetti di fare la stronzetta», dico.